COLLEGIO
SALESIANO "SAN BASILIO"
Piazza Don
Guidazio, 7
95036 RANDAZZO
(CT)
Randazzo, 19
luglio 1993
Carissimi.
Anche
se in ritardo, con animo profondamente commosso Vi comunico la morte del
compianto e caro confratello
Sac.
Pasquale De Luca
ritornato
alla casa del Padre nel pomeriggio di un anno fa, il 19 luglio del '92.
Chiuse
gli occhi serenamente circondato dall'affetto dei confratelli, senza avvertire,
probabilmente né lui né i presenti, la gravità del disturbo cerebrale.
Terminò
la sua giornata terrena in silenzio, in punta di piedi, senza recare
"disturbo" a nessuno così come più volte, mi confidava, aveva pregato
il Signore che gliene concedesse la grazia.
Pasquale
De Luca nacque a Randazzo, ridente cittadina medievale a ridosso dell'Etna,
i126 aprile 1911, ultimo di nove figli. Non vide e non conobbe il padre, orto
prima che egli nascesse. A motivo di ciò la madre, Maria Catena Ferro, gli pose
il nome del padre perché se ne conservasse in famiglia viva la memoria.
La
povertà bussò in quella casa. La madre, donna di forte fede e di senso pratico,
prese le redini della famiglia; crebbe ed educò la nidiata di figli col
mestiere di sarta.
Scelse
per il suo Pasquale il collegio rinomato della città, il S. Basilio, ove il
piccolo frequentò le classi elementari.
Il
clima di famiglia, la squisita carità e benevolenza incontrata nelle
carismatiche figure di D. Cavina, D. Amistani, D. Barbero, che attinsero lo
spirito salesiano direttamente da D. Bosco, lo orientarono ancora fanciullo
alla vita salesiana.
Iter
formativo
Compì
il ginnasio inferiore a Barcellona e quello superiore a S. Gregorio di Catania.
Entrò
nel noviziato il 14 novembre 1927 ed emise la prima professione religiosa
l'anno successivo, il 15 novembre 1928.
Vi
rimase altre due anni per gli studi di filosofia. Svolse il triennio pratico,
dal '31 al '34, a Trapani, Catania, S. Gregorio.
Poiché
rivela buone capacità intellettive, forte interiorità e sensibilità musicale,
il Superiori gli fanno frequentare i corsi di formazione teologica della
Gregoriana a Roma coronandoli con l'ordinazione sacerdotale in Acireale il
23luglio 1939 per le mani del Vescovo Mons. Salvatore Russo.
Il
Docente
Ancor prima del sacerdozio e dei normali
titoli accademici il giovane De Luca viene posto sulla cattedra avvertendo in
lui le non comuni qualità di maestro di vita e di scienza.
Di intelligenza acuta, memoria tenace,
battuta pronta e perspicace, brillante capacità espositiva e sensibilità non
comune, egli filtra il sapere teorico attraverso lo spettro variegato della
vita e matura una conoscenza delle discipline profonda nei contenuti, sicura
nella esposizione, riccamente umana e viva nella forma che sarà sempre
sostenuta e calda.
Sono queste le prerogative che l'hanno
fatto apprezzare come insegnante acuto, come dialettico, convincente.
Le
tappe della missione salesiana
Per
un decennio, da '43 al '53, viene destinato a Palermo, Sampolo e Villa
Ranchibile in qualità di Consigliere e insegnante di lettere. In pari tempo
frequenta i corsi accademici dell'università conseguendo la laurea in lettere
classiche e l'abilitazione, conciliando non senza sacrifici l'impegno di
docente e di studente.
In questi stessi anni completa la sua
preparazione musicale frequentando l'Accademia "S. Cecilia" di Roma
dove consegue il diploma di musica e pianoforte per il quale strumento nutre
una particolare passione che si manifesta nello studio serio, aiutato da una
facile lettura dello spartito e dalla personale capacità interpretativa. Al pianoforte
egli effondeva il suo lirismo, come nella poesia, e liberava la sua anima dalle
inquietudini del giorno sublimando sofferenza e dolore. Declina con suo
profondo rincrescimento l'invito dei Superiori di seguire corsi di
perfezionamento all'estero, conscio che la vista, sempre assai debole non
l'avrebbe accompagnato. Tuttavia non abbandonerà mai la tastiera per
esercitarsi e per diletto.
Nel 56, a 45 anni, viene chiamato a
dirigere lo studentato filosofico e il noviziato di S. Gregorio fino a165.
Centinaia di giovani confratelli troveranno in
Lui un padre affettuoso, attento ai bisogni di un'età in crescita, dalla tempra
forte e dai principi fermi.
Nella direzione spirituale rivela un animo
paterno, aperto che infondeva fiducia e serenità. Sempre presente e vigile
interveniva per tempo e con polso autorevole a rendere l'ambiente dello
studentato vario, ameno specie nelle vacanze, sempre idoneo alla riflessione,
alla preghiera, allo studio.
Dal
'65 al '71 viene destinato come Direttore all'Istituto Ranchibile di Palermo.
Durante il mandato, nel '69 viene assalito da un male oscuro al cervello.
Ricoverato e operato alla Filicuzza, vi rimane per circa quattro mesi
affrontando con spirito di fede e forza d'animo un vero calvario di dolore e di
sofferenza continua. Per ulteriori interventi viene ricoverato all'Istituto
neurologico Besta di Milano per altri lunghi interminabili mesi, nei quali si
aggiunge ancora la solitudine forzata che egli sentirà pesantemente, nonostante
che i carissimi confratelli di Milano lo assistessero amorevolmente. Ma gli'
mancavano i giovani, i suoi giovani che amava e accudiva come padre.
Quando
vi ritornerà riprende le normali attività.
L'esperienza del dolore segnerà in lui un
solco profondo che lo accompagnerà per gli anni venturi, fino alla morte.
Dal
'71 al '77 passa a dirigere l'opera di Sampolo.
Sempre pieno di solerzia e di volontà, e
per ritemprare il fisico provato, i Superiori pensano di inviarlo nella natia
Randazzo affidandogli le sorti del vetusto e glorioso Collegio S. Basilio prima
opera salesiana in Sicilia fondata, ancora vivente D. Bosco, nel lontano 1879.
Lo dirige per un sessennio e poi come incaricato dell'Oratorio vi rimane
dall'83 fino alla morte.
Gli
ultimi quindici anni rivelarono il suo profondo attaccamento a D. Bosco, alla
Chiesa che amò teneramente prestando servizio come parroco a Montelaguardia,
frazione di Randazzo, distante 4 Km. Curò con particolare dedizione
l'associazione degli Ex Allievi che riconobbero in lui una guida spirituale,
sicura, l'uomo dal parlare franco, il salesiano convinto e generoso.
La
Spiritualità
Come pastore D. De Luca fu un sacerdote
zelante e convinto. Alimentava la fede nel colloquio interiore, confidenziale
con il Cristo, specie quando lo contemplava con le braccia stese sulla croce
obbediente al Padre. Era allora il momento più tenero, quando il suo pregare
diventava, senza presunzione, confronto e misura anche della sua sofferenza.
Attraverso la Croce filtrava e interpretava le vicende umane, le presentava al
Padre in tono di intercessione, sempre in spirito di obbedienza al mistero di
Dio, dinanzi a cui era solito arrestarsi non senza chiedersi enigmaticamente
"Ma perché, Signore, perché hai permesso questo?". Di ogni vicenda
chiedeva alla luce della fede il senso recondito, partecipando con sofferenza
al mistero del dolore universale. Per questa sua sensibilità accesa intendeva
molto bene il dolore che ha investito la vita di artisti, musici o poeti, e ne
interpretava le vibrazioni quando al piano eseguiva i pezzi preferiti e ne
citava i versi.
Anche il volto, scavato da rughe profonde
e da pieghe ai lati del mento, accusava in lui l'uomo della sofferenza dovuta a
sensibilità e partecipazione. E tuttavia gli occhi vivaci e neri, lo sguardo
penetrante e buono trasmettevano, più che le parole, condivisione e abbandono
sereno in Dio, a cui nulla sfugge. Con questa ricchezza entrava nelle case,
negli uffici, visitava gli amici e confortava le famiglie offrendo solidarietà
e quella parola ricca di fede che illuminava e dava pace interiore.
Scarno,
semplice, immediato, senza retorica e senza servilismi chiedeva e otteneva non
per sè ma per Don Bosco, per i giovani, suscitando ovunque a prima vista
simpatia, ammirazione e infine confidenza.
Nelle conferenze, nei discorsi ufficiali e
nelle omelie, che stendeva per iscritto con dotta puntualizzazione, traspariva
la sua anima accesa di fede e di amore. I pensieri vibravano di autenticità,
senza nulla concedere al convenzionalismo, al rito o alla prassi. Ne veniva
fuori sempre la sua anima viva col suo modo autentico, che scioglieva le
problematiche nell'amplesso della fede.
Spigolando...
Stralciamo dai suoi scritti alcuni brani
densi di contenuto e significato del suo travaglio interiore.
Non passi giorno senza che il compimento
di un'opera buona e non venga notte senza che la coscienza giudichi e
rettifichi il nostro operare.
Il timore del giudizio di Dio al momento
della morte è sempre presente e pieno di mistero, esso ci obbliga a una grande
umiltà e ci fa invocare la misericordia del Signore e l'aiuto della preghiera
dei buoni.
La
parola e la vita di Cristo sono esigenti, impegnative. Impongono la rinunzia a
tutto ciò che è provvisorio ed effimero. Richiedono il sacrificio, richiedono
una consapevolezza della gerarchia dei valori.
Io penso che la virtù più bella, più umana
e cristiana e più comunitaria sia quella del saper accettare le possibilità di
ogni confratello, di aiutarlo nei suoi limiti, incoraggiarlo sempre, non
chiedere più di quanto sappia dare.
Non chiedere le ragioni misteriose del
nostro dolore. La fede però può risolvere l'oscuro enigma del dolore, mostrando
il possibile segreto valore di redenzione e togliendo ad esso il peggiore dei
mali che lo accompagnano: il senso dell'inutilità, la disperazione. V'è di più:
Cristo non mostra soltanto la dignità del dolore, Cristo lancia una vocazione
al dolore. "Io sono lieto, scriveva Paolo ai Colossesi, delle sofferenze
che sopporto per voi".
Il
sofferente non è più inerte e di peso negativo, è un elemento attivo, è uno
come Cristo. E poi c'è una promessa, una meta: noi non andiamo verso la morte,
le tenebre, il vuoto, il nulla, ma andiamo verso la vita, la luce, la gioia,
verso Dio.
La passione di Gesù realizza la giustizia
e la misericordia, l'espiazione e il riscatto, la morte e la vita. Dolore e
gioia non sono più irriducibili. La passione di Cristo è in noi ogni volta che
la prova entra nella nostra vita in tutte le occasioni gravi o insignificanti e
noi l'accettiamo... Non sono la penitenza, la mortificazione, dunque, una
faccenda lugubre. Nulla è così falso come l'idea che la quaresima sia un tempo
triste. Certo è un periodo di sforzo serio, forse anche di cura dolorosa, ma
esso tende a ben altro, tende soprattutto a questo: che il nostro spirito
dimori presso Dio che è luce, gioia, amore.
Io voglio sperare che al termine di
quest'anno (1980) D. Bosco dal cielo possa dire ancora a noi, a ciascuno di
noi, quello che ha detto il 6 gennaio 1880: di essere cioè contenti di noi.
Questo implica un nostro particolare
impegno. Impegno al sacrificio, che è l'unica verifica della vera pietà e del
vero amore di Dio.: sacrificio nella levata, sacrificio nella partecipazione
puntuale alle pratiche della comunità, sacrificio nell'assistenza quotidiana
dei nostri giovani, sacrificio nella conversazione paziente e fraterna con
ciascuno di loro, che è verifica per loro che noi li amiamo così come voleva D.
Bosco, sacrificio della rinuncia a tutti i privilegi dentro cui siamo tentati
di chiuderci, sacrificio della partecipazione attiva a tutte le iniziative che
ci vengono suggerite dall'alto e dal basso, sacrificio nella scuola in cui la
cultura non deve essere fine a se stessa ma sia costituita e proposta come
mediazione della nostra fede, in modo da formare delle autentiche coscienze
cattoliche.
Finché pensiamo di poter vivere senza
patimenti, senza pene e senza croci, non abbiamo ancora incominciato ad essere
neppure cristiani. La passione è il più profondo ed esatto insegnamento di Gesù
ed è insieme la più profonda sua rivelazione.
La
passione di Cristo ci unisce ad una riflessione realistica sulla precarietà
della nostra condizione umana votata allo scacco della morte. Non c'è nulla di
definitivo e di stabile quaggiù; il tempo fugge inesorabile e come un fiume
vorticoso e veloce sospinge senza sosta noi e le nostre cose verso la foce
misteriosa della morte: la cosa più paurosa che c'è sulla terra: sentirsi male
in tutto il corpo, non trovare sollievo un istante per giorni e giorni, vedere
il mondo scomparire, non sentire più nulla: oh! e terribile.
L'umanità ha tentato in tutti i modi
possibili di dimenticare, di minimizzare la morte sforzandosi di privarla di
quelle dimensioni e risonanze che ne fanno un evento decisivo della sua
esistenza.
Questa vita di oggi è una vigilia, è una
prova seria e forte. Il tempo è prezioso e breve; bisogna quindi dare al tempo
l'impegno migliore.
Carissimi, chiudo questi brevi cenni sulla
personalità del nostro Don De Luca, sottolineando il suo grande amore per Don
Bosco nella sua terra.
Per il centenario della morte del nostro
Padre ha voluto che anche Randazzo innalzasse un monumento al Santo dei giovani
e lo eresse in una piazza centrale, a fronte dell'Opera Salesiana coinvolgendo
Autorità, Ex Allievi, Cooperatori dell'Opera Salesiana, ma soprattutto la
gente, il popolo che amò con spirito missionario.
Fu l'ultima sua opera, l'ultimo gesto
compiuto per consegnare a ciascuno di noi la fiaccola della fedeltà a Don
Bosco, alla Chiesa.
Riconoscenti
a Dio per averci dato un Salesiano
alla
tempra di Don De Luca siamo larghi di suffragi, perché il Signore gli concedi
subito quel premio che si è meritato; ed a quest'opera una forte ripresa
nell'operare sempre per il bene dei giovani.
Affezionatissimo
in Cristo
Sac.
Rodolfo Scambelluri
Direttore
e comunità
Date
del necrologio:
Sac.
Pasquale De Luca
nato
a Randazzo il 26 aprile 1911
Professione
Religiosa San Gregorio (CT) il 10 settembre 1931
Ordinato
Sacerdote in Acireale (CT) il 23 luglio 1939 Morto a Randazzo (CT) il 19 luglio
1992 ad 81 anni di età e 62 di Professione Religiosa.
Sono un ex allievo del Ranchibile di Palermo,ho avuto la Grazia di conoscere don De Luca per sei anni al Ranchibile, di soffrire della sua malattia, di gioire delle partitelle a bigliardino con lui o contro di lui, di averlo come avversario o come compagno di squadra nei tornei di calcio disputati al Ranchibile, di gioire o commuovermi fino al pianto quando Lo sentivo gioire o commuoversi mentre suonava l'organo della Chiesa del Ranchibile e io seguivo le lezioni in classe, ho vissuto la sua incipiente quasi cecità ed il suo sorriso all'avvicinarsi di un"adolescente.
RispondiEliminaSentivo i miei genitori essere orgogliosi che il proprio figlio avesse da studente un capo di Istituto cosí umano e cosí vicino a Dio, nello spirito di Salesianità.
Oggi ringrazio Dio e Maria Ausiliatrice di aver avuto in dono la Grazia di aver avuto Don De Luca come esempio è maestro.
Grazie, caro Direttore per quello che hai potuto insegnare ad uno scarsone come me.
Gigi La Cerva
Sono un ex allievo del Ranchibile di Palermo,ho avuto la Grazia di conoscere don De Luca per sei anni al Ranchibile, di soffrire della sua malattia, di gioire delle partitelle a bigliardino con lui o contro di lui, di averlo come avversario o come compagno di squadra nei tornei di calcio disputati al Ranchibile, di gioire o commuovermi fino al pianto quando Lo sentivo gioire o commuoversi mentre suonava l'organo della Chiesa del Ranchibile e io seguivo le lezioni in classe, ho vissuto la sua incipiente quasi cecità ed il suo sorriso all'avvicinarsi di un"adolescente.
RispondiEliminaSentivo i miei genitori essere orgogliosi che il proprio figlio avesse da studente un capo di Istituto cosí umano e cosí vicino a Dio, nello spirito di Salesianità.
Oggi ringrazio Dio e Maria Ausiliatrice di aver avuto in dono la Grazia di aver avuto Don De Luca come esempio è maestro.
Grazie, caro Direttore per quello che hai potuto insegnare ad uno scarsone come me.
Gigi La Cerva