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venerdì 6 novembre 2015

Una vocazione nata al San Basilio.

La sua famiglia ad Agrigento, era dedita alla cultura e alla pubblica amministrazione, più che alla vita cristiana. Giuseppe, secondogenito di Vitale Cognata e Rosa Montana nacque il 14 ottobre 1885 nella città dei Templi. Suo padre, affiliato alla massoneria, per la pressione della madre, donna di chiesa, inviò questo figlio, per gli studi secondari al Collegio salesiano San Basilio di Randazzo.
Lì trovò un santo salesiano, formato direttamente da Don Bosco, a fargli da guida. Peppino – così veniva chiamato in famiglia – nel 1900, ne uscì con la licenza ginnasiale e... la vocazione al sacerdozio nella Società Salesiana.
Seguirono aspre lotte in famiglia, ma nel 1901, il ragazzo la spuntò sul padre, ossia sulla loggia massonica, ed entrò felice, tra i Salesiani.

Un curriculum di prestigio

Da subito, sulle orme di Don Bosco, è un innamorato dell’Ausiliatrice e di Gesù Eucaristico: vuole essere “ostia con Gesù”, cioè offerto con Lui, in adorazione a Dio per la salvezza del mondo, sul Calvario e sull’altare del Sacrificio della Messa.
Con il passare degli anni e l’avvicinarsi della meta, questo ideale lo appassiona sempre di più. È studente, novizio e chierico di singolare bontà e virtù, animato sempre dalla gioia di donare, di “servire il Signore nella gioia”, come ha insegnato il Santo Fondatore dei Salesiani ai suoi figli.
Studi filosofici e teologici brillanti. Ampie letture dei classici e degli autori contemporanei. Conoscenza dei maestri di spirito e degli educatori cristiani. Questa la sua formazione e la sua base cristiana ed umana. Nella primavera del 1908, offre a Dio i santi voti per sempre, nelle mani di Don Michele Rua, il primo successore di Don Bosco, oggi Beato.
Il 29 agosto 1909, è ordinato sacerdote da Mons. Arista, Vescovo di Acireale.
Don Giuseppe, ora, va a laurearsi all’Università di Catania, quindi inizia la sua missione di sacerdote e di educatore in mezzo alla gioventù: è insegnante e superiore nei collegi di Bronte (Catania), Este (Padova) e Macerata. Appare presto un salesiano eccezionale, un vero contemplativo nell’azione, con un’intensa vita di unione con Dio e di zelo per la salvezza delle anime. Forma i giovani all’amicizia con Gesù, alla preghiera, al servizio del prossimo. Ha il dono e l’arte dell’amicizia e si fa assai ben volere.
Scoppia la guerra del ’15-18. A lui tocca tornare soldato nella sua Sicilia, in fanteria, a Trapani. Alla fine della guerra, Trapani diventa il suo campo di lavoro: vi fonda e dirige la prima opera salesiana della città, innalza una chiesa all’Ausiliatrice e diventa punto di riferimento per un mondo di persone.
È davvero un salesiano prestigioso: i superiori lo mandano direttore a Randazzo – dove era stato da ragazzo, a Gualdo Tadino in Umbria, al Sacro Cuore, presso la stazione Termini di Roma. Giovani e confratelli sono affascinati dal suo stile impregnato di santità autentica e salesiana.

Il Vescovo della Redenzione

L’11 marzo 1933, a 47 anni, è eletto Vescovo di Bova, nell’Aspromonte Calabrese, da papa Pio XI. A Bova, entra nel giugno 1933. È l’Anno Santo nel XIX centenario della Redenzione operata da Gesù sulla croce. La diocesi che gli è affidata, è una diocesi povera e difficile, con le parrocchie appollaiate tra le gole dell’Aspromonte, con una vita ancor quasi primitiva. Il clero scarso, assenti le suore per l’educazione dei piccoli e l’aiuto ai più poveri. È quasi tutto da fare.
Monsignor Cognata chiede consiglio al papa Pio XI per far fronte. Il Papa lo incoraggia a dar vita ad iniziative nuove con l’agilità e l’arditezza di San Giovanni Bosco che lui ha conosciuto di persona all’Oratorio di Valdocco.
Il giovane Vescovo prega, si consiglia e così già il 17 dicembre 1933, a soli sei mesi dal suo ingresso, dà inizio alle Suore Salesiane Oblate del Sacro Cuore.
Il loro primo impegno è a Pellaio, poi aumentando le vocazioni, si passa presto a lavorare a Bova Marina e alla fondazione di “missioni” in diocesi di origine e in altre della Calabria e della Sicilia.
Ha fregiato il suo stemma vescovile con le parole di San Paolo. Charitas Christi urget nos, la carità di Cristo ci spinge (2 Cor 5,14). A che cosa lo spinge? Ad offrirsi con Gesù crocifisso per la redenzione del mondo. L’Anno Santo della Redenzione, in corso nella Chiesa lo spinge a questa offerta sempre più intensamente, sempre più consapevole che in questa offerta sta la perfezione della vita cristiana, ancor più del sacerdozio nella sua pienezza di Vescovo.
Fin dagli anni precedenti alla sua ordinazione presbiterale, egli meditava e viveva il sacerdozio come totale offerta e sacrificio di sé con Gesù Sacerdote e Ostia del suo Sacrificio: «È stato sacrificato perché lo ha voluto e non ha aperto bocca» (cf Is 53,7). Con l’ordinazione episcopale intuisce che deve inserirsi sempre più nell’oblazione del Salvatore per la salvezza delle anime che gli sono affidate.
Da anni ormai, da quando era diventato sacerdote, Mons. Cognata si era offerto, segretamente, vittima a Dio per il ritorno del padre, affiliato alla massoneria, alla vita cristiana e ai Sacramenti.
Suo padre non aveva voluto saperne di partecipare alla sua ordinazione sacerdotale, ma era stato presente alla sua consacrazione episcopale nella Basilica del Sacro Cuore a Roma, quando il figlio Vescovo tacitamente aveva rinnovato la sua offerta per lui.
Al momento della fondazione del suo Istituto, affida alle sue figlie l’oblazione con Cristo, come ideale e stile di vita, nell’umiltà, nella piccolezza, nel sacrificio, nella ricerca dei luoghi più poveri e più difficili. Fin dagli inizi, egli parla loro di «completa oblazione per la causa della redenzione delle anime». Le richiama continuamente a Gesù Oblato Divino e modello di oblazione, perché «siano consacrate al suo Cuore da cui è iniziato l’olocausto per la salvezza del mondo». Egli dà al suo Istituto come protettore San Paolo, l’apostolo dell’oblazione e della carità.
Mons. Cognata insegna che «la parola d’ordine dell’oblazione è: tutto per Gesù», e che le sue suore dovranno vivere in totale unione con Gesù-Ostia nel sacrificio eucaristico dell’altare.
Per le sue suore e per tutti i suoi diocesani, ad iniziare dai suoi preti, spiega che «l’Oblazione è la perfezione della vita cristiana vissuta in olocausto di carità, uniti a Gesù, che tutto offrì per nostro amore».
In una parola, Mons. Cognata appare a chi lo vede e lo segue, come il Vescovo della Redenzione e perciò dell’oblazione con Gesù.
Affascina tutti con la sua sconfinata capacità di amare: uomo tutto di Dio e tutto degli altri nella continua ricerca della carità teologale. Chi lo ha conosciuto ha testimoniato che “nessuno sapeva amare come lui” e che “tutto in lui, la dolcezza, il tratto, il sorriso, lo sguardo, l’azione, tutto è espressione di amore”.

Sul Calvario

Sette meravigliosi anni di episcopato, trascorsi nel modo appena descritto. Poi attorno a lui, si scatena la bufera. Si era offerto vittima e Dio lo prende in parola, permettendo per lui una prova durissima, di eccezionale durata e pesantezza, una croce legnosa e trafiggente per lunghissimi anni.
Contro di lui, arrivano aspre calunnie che giungono fino al Papa.
Pio XI prende le sue difese. Seguono malcontenti interni al suo Istituto e una ribellione al Vescovo fondatore da parte di alcune Oblate che lasciano l’Istituto e pensano di fondarne un altro. Mons. Cognata interviene come padre e superiore, ma gli viene giurata vendetta. Partono altre calunnie e denunce. Una bufera contro di lui, senza limiti, in cui il suo sacrificio tocca il vertice. Gli viene proibito il governo del suo Istituto e il 5 gennaio 1940 si vede obbligato a rinunciare alla diocesi. D’ora in poi non potrà esercitare il suo ministero episcopale. “Umile e mite come la vittima sul Calvario – scrive di lui Don Luigi Castano – Mons. Cognata accetta in silenzio e si offre, come modello di perfetta obbedienza ed oblazione: così permette per lui il Divino Modello”.
Va a vivere con i confratelli salesiani a Castello di Godego (Treviso), accettando il suo nuovo stato di vita come compimento di un voto fatto a Dio per ottenere la grande grazia della conversione di suo padre. È sacrificio fecondo, come il seme caduto in terra che porta molto frutto: suo padre ritorna alla fede, anche se non c’è il figlio ad assisterlo nella sua agonia. Quante altre anime siano tornate a Dio per il suo sacrificio, solo Dio lo sa.
Per 32 anni, fino alla morte, Mons. Giuseppe Cognata vive nel nascondimento, nella preghiera, nell’umile e fecondissimo lavoro sacerdotale, soprattutto di direttore spirituale, in perfetta oblazione sacrificale di sé, come Gesù sulla croce.
La sua vita può essere riassunta nella pagina mirabile del Servo di Jahvé, profetizzato da Isaia: «Si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca» (Is 53,7).
Chi lo avvicina, confratelli salesiani, sacerdoti, suore, religiosi e laici, ha l’impressione di aver incontrato un santo, un grande maestro di intimità e di sacrificio con Gesù.
Diffonde luce, coraggio, fiducia e gioia in una paternità avvolgente. Nobilissima figura, ricco di dottrina, sapienza, e della santità della dolcezza di San Francesco di Sales. Devotissimo all’Ausiliatrice, indirizza sempre a Lei coloro che incontra, sicurissimo che la Madonna risponde sempre a chi lo invoca.
«Il suo cuore, dirà Mons. Solari, nel dolore più profondo è maturato un amore straordinario: comprensivo, paziente, tenero, forte e allo stesso tempo dolce. Come Gesù sul Calvario: così è vissuto negli anni dell’esilio».
Ma nel 1962 chi l’aveva calunniato, prima di morire ritratta tutto quello che aveva detto contro di lui. Così, con immensa gioia, il papa Giovanni XXIII lo riabilita e Mons. Giuseppe Cognata può partecipare al Concilio Vaticano II.
Il 29 gennaio 1972, ha la gioia di vedere l’Istituto che ottiene il pieno riconoscimento pontificio.
Viene invitato a Roma, dove non può mancare per quell’ultima festa dedicata a lui, che ha versato lacrime di sangue, ma che ora viene riconosciuto come Fondatore.
Da Roma si reca a Pellaro, là dove 40 anni prima era nata la sua Opera.
Il 22 luglio 1972, Mons. Cognata va all’incontro con Dio: Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori, ma quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza e si compirà per mezzo suo la volontà del Signore (Is 53,10).

                                                                                                                      Autore: Paolo Risso

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