sabato 31 ottobre 2015
venerdì 30 ottobre 2015
giovedì 29 ottobre 2015
Il beato Michele Rua è il primo successore di Don
Bosco, di cui era stato a lungo segretario e poi vicario. Nato a Torino
nel 1837, dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico
diviene segretario del futuro santo per lIl beato Michele Rua è il primo successore di Don
Bosco, di cui era stato a lungo segretario
e poi vicario. Nato a Torino nel 1837,
te, insigne propagatore della Società Salesiana.
Autore: Daniele Bolognini
dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico
diviene segretario del futuro santo per la zona di Valdocco. Accompagna
il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e
direttore spirituale. A 26 anniIl beato Michele Rua è il primo successore di Don
Bosco, di cui era stato a lungo segretario e poi vicario. Nato a Torino
nel 1837, dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico
diviene segretario del futuro santo per la zona di Valdocco. Accompagna
il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e
direttore spirituale. A 26 anni fonda il primo centro salesiano
"esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida
della congregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande
impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire) fonda il primo centro salesiano
"esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida
della coIl beato Michele Rua è il primo successore di Don
Bosco, di cui era stato a lungo segretario e poi vicario. Nato a Torino
nel 1837, dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico
diviene segretario del futuro santo per la zona di Valdocco. Accompagna
il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e
direttore spirituale. A 26 anni fonda il primo centro salesiano
"esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida
della congregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande
impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire)ngregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande
impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire)a zona di Valdocco. Accompagna
il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e
direttore spirituale. A 26 anni fonda il primo centro salesiano
"esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida
della congregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande
impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire)
e poi vicario. Nato a Torino nel 1837,
te, insigne propagatore della Società Salesiana.
Michele Rua nacque a Torino il 9 giugno 1837, nel popolare quartiere
di Borgo Dora dove, nell’arsenale, il padre lavorava e in un alloggio
della fabbrica abitava la famiglia. Nel giro di pochi anni la madre
rimase sola con due figli. Perso il papà, gli occhi di Michelino spesso
si fermavano a guardare gli operai a lavoro davanti ai forni roventi in
cui venivano fusi i pezzi d’artiglieria. Era una sorta di caserma in cui
il ragazzo frequentò le prime due classi d’istruzione. Seguì la terza
elementare dai Fratelli delle Scuole Cristiane, chiamati nel borgo, anni
prima, dal Marchese Tancredi di Barolo per istruire i bambini del
popolo. Tra i banchi di scuola ci fu l’incontro con don Bosco che intuì,
negli occhi del giovane, qualcosa di speciale. Porgendogli la mano,
come era solito fare con tanti ragazzi, gli disse “Noi due faremo tutto a
metà”. Quelle parole rimasero impresse nel cuore di Michele che da quel
giorno lo prese come confessore. La terza era l’ultima classe
obbligatoria e quando il “santo dei giovani” gli chiese cosa avrebbe
fatto l’anno successivo, lui rispose che, essendo orfano, in fabbrica
avevano promesso alla madre che gli avrebbero dato un lavoro. Per il
sacerdote, anch’egli rimasto presto senza padre, convincere la donna a
fargli proseguire gli studi non fu difficile e Michele entrò come
convittore a Valdocco, già “popolato” da oltre cinquecento ragazzi. Era
il 1853, un anno speciale perché si celebrava il 4° centenario del
Miracolo Eucaristico. Don Bosco aveva scritto per l’occasione un
libretto e un giorno, mentre camminavano insieme per le strade di
Torino, scherzando, predisse al giovane che, cinquanta anni dopo,
l’avrebbe fatto ristampare. Intanto nacque nel suo cuore la vocazione
sacerdotale e il 3 ottobre ricevette dal santo l'abito clericale ai
Becchi di Castelnuovo. L’anno successivo morì anche l’ultimo fratello.
Il 26 gennaio 1854, don Bosco radunò nella sua camera quattro giovani compagni, dando vita, forse inconsapevolmente, alla congregazione salesiana. Alla riunione erano presenti Giovanni Cagliero e Michele Rua che fu incaricato di stenderne il “verbale”. Amici inseparabili, furono tra i più volenterosi quando, l’anno dopo, scoppiò in città un’epidemia di colera, probabilmente portata dai reduci della guerra in Crimea. Nei quartieri più poveri i due aiutarono generosamente i malati e Cagliero si ammalò gravemente. Il 25 marzo, nella stanza di don Bosco, Michele fece la sua “professione” semplice: era il primo salesiano. A Valdocco sorgevano laboratori di calzoleria, di sartoria, di legatoria. Molti ragazzi vedevano cambiare la propria esistenza: alcuni poterono studiare, altri vi si radunavano la sera dopo il lavoro, altri ancora solo la domenica. Michele divenne il principale collaboratore del santo, nonostante la giovane età. Ne conquistò la totale fiducia, aiutandolo anche nel trascrivere le bozze dei suoi libri, sovente di notte, rubando le ore al sonno. Di giorno si recava all’oratorio s. Luigi, dalle parti di Porta Nuova, in una zona piena di immigrati. I più emarginati erano i ragazzi che, dalle valli, scendevano in città in cerca di lavoro come spazzacamini. Rua, facendo catechismo e insegnando le elementari nozioni scolastiche, conobbe infinite storie di miseria. L’oratorio fu frequentato anche da s. Leonardo Murialdo e dal B. Francesco Faà di Bruno. Nel novembre 1856, quando morì Margherita Occhiena, madre di don Bosco, Michele chiamò la sua ad accudire i giovani di Valdocco. Lo fece per venti anni, fino alla morte. Frequentare il seminario, a quei tempi, a causa delle leggi anticlericali, non era facile ma, nonostante questo il giovane lo fece con profitto e anzi, sui suoi appunti, studiarono tanti compagni. Nel febbraio 1858 don Bosco scrisse le Regole della congregazione e il “fidato segretario” passò molte notti a copiare la sua pessima grafia. Insieme, le portarono a Roma, all’approvazione di Papa Pio IX, che, di proprio pugno, le corresse. Michele alla sera dovette ricopiarle mentre di giorno era l’ombra del fondatore, impegnato ad accompagnarlo negli incontri con varie personalità. L’anno successivo il papa ufficializzò la congregazione salesiana.
Il 28 luglio 1860 Michele Rua venne finalmente ordinato sacerdote. Sull’altare della prima messa c’erano i fiori bianchi donati dagli spazzacamini dell’oratorio san Luigi. Tre anni dopo fu mandato ad aprire la prima casa salesiana fuori Torino: un piccolo seminario a Mirabello Monferrato. Vi stette due anni e tornò in città mentre a Valdocco si costruiva la basilica di Maria Ausiliatrice. Don Rua divenne il riferimento di molteplici attività, rispondendo persino alle lettere indirizzate a don Bosco. Lavorava senza soste e nel luglio 1868 sfiorò persino la morte a causa di una peritonite. Dato per moribondo dai medici, guarì, qualcuno disse per intercessione di Don Bosco. Tra i ragazzi dell’oratorio, oltre settecento, nascevano diverse vocazioni religiose. In quell’anno si conclusero i lavori del santuario, nel 1872 si consacrarono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, nel 1875 partirono i primi missionari per l’Argentina guidati da don Cagliero. Nacquero i cooperatori e il bollettino salesiano. Valdocco aveva raggiunto proporzioni enormi, mentre a Roma Papa Leone XIII chiedeva alla congregazione la costruzione della basilica del Sacro Cuore. Don Bosco era spesso in viaggio per la Francia e la Spagna e don Rua gli era accanto. Nel 1884 la salute del fondatore ormai declinava e fu il papa stesso a suggerirgli di pensare ad un successore. Don Rua il 7 novembre fu nominato, dal pontefice, vicario con diritto di successione. Nel gennaio del 1888, nella notte tra il 30 e il 31, alla presenza di molti sacerdoti, accompagnò la mano del santo, nel dare l’ultima benedizione. Rimase poi inginocchiato, davanti alla salma, per oltre due ore.
Il beato Michele fu un missionario instancabile, fedele interprete del sistema educativo preventivo. Percorrendo centinaia di chilometri visitò le case della congregazione sparse per il mondo, coordinandole come una sola grande famiglia. Diceva che i suoi viaggi gli avevano fatto vedere la “povertà ovunque”. La prima grande industrializzazione fece abbandonare ai contadini le proprie terre, per un misero salario guadagnato in fabbrica dopo interminabili giornate di lavoro. I salesiani toglievano dalla strada molti bambini, aprendo oratori e scuole che, pur nella loro semplicità, diventavano in poco tempo centri di accoglienza e istruzione. Fu un grande innovatore in campo educativo: oltre alle scuole, in cui introdusse corsi professionali, organizzò ostelli e circoli sociali. Tra gli altri, fece amicizia con Leone Harmel, promotore del movimento degli operai cattolici. Come responsabile della congregazione affrontava con scrupolo le questioni amministrative che a volte lo portavano ad essere severo con i suoi collaboratori. Spesso gli saranno tornate in mente le parole che don Bosco gli disse quando era ancora un ragazzino: “avrai molto lavoro da fare”. Alla morte del santo i salesiani erano settecento, in sessantaquattro case, presenti in sei nazioni, con don Rua divennero quattromila religiosi, in trecentoquarantuno case di trenta nazioni, tra cui Brasile, Messico, Ecuador, Cina, India, Egitto, Sudafrica. L’amico d’infanzia Cagliero, divenuto cardinale, fu il primo vescovo salesiano missionario in Patagonia e nella Terra del Fuoco, e molti anni dopo gli presentò il giovane figlio di un “cachico”, Zefirino Namuncurà, oggi beato. L’altro compagno, Giovanni Francesia, divenne un latinista di fama europea.
Al beato Rua, tra molte soddisfazioni (nel 1907 don Bosco fu dichiarato venerabile, nel 1908 si terminò la chiesa romana di Maria Liberatrice), non mancarono certo prove e difficoltà. Nel 1896 il governo anticlericale dell’Ecuador allontanò dal paese i salesiani, lo stesso accadde in Francia nel 1902. Nel 1907 in Liguria, a Varazze, si dovette rispondere per vie legali ad alcune pesanti accuse contro la congregazione. Il piano massonico si sgonfiò e i calunniatori dovettero scappare all’estero. La salute del beato ne rimase seriamente compromessa. Sotto il peso degli anni, fu costretto a letto. Il suo aiutante, b. Filippo Rinaldi, lo assistette fino all’ultimo. Morì nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1910, mormorando una giaculatoria insegnatagli da don Bosco quando era un ragazzino: “Cara Madre, Vegine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia”. Il “secondo padre della famiglia salesiana” fu sepolto a fianco del maestro. Paolo VI lo beatificò il 29 ottobre 1972, la sua tomba è ora venerata nella cripta della basilica di Maria Ausiliatrice.
La data di culto per la Chiesa Universale è il 6 aprile, mentre la Famiglia Salesiana lo ricorda il 29 ottobre, giorno della sua beatificazione.
Il 26 gennaio 1854, don Bosco radunò nella sua camera quattro giovani compagni, dando vita, forse inconsapevolmente, alla congregazione salesiana. Alla riunione erano presenti Giovanni Cagliero e Michele Rua che fu incaricato di stenderne il “verbale”. Amici inseparabili, furono tra i più volenterosi quando, l’anno dopo, scoppiò in città un’epidemia di colera, probabilmente portata dai reduci della guerra in Crimea. Nei quartieri più poveri i due aiutarono generosamente i malati e Cagliero si ammalò gravemente. Il 25 marzo, nella stanza di don Bosco, Michele fece la sua “professione” semplice: era il primo salesiano. A Valdocco sorgevano laboratori di calzoleria, di sartoria, di legatoria. Molti ragazzi vedevano cambiare la propria esistenza: alcuni poterono studiare, altri vi si radunavano la sera dopo il lavoro, altri ancora solo la domenica. Michele divenne il principale collaboratore del santo, nonostante la giovane età. Ne conquistò la totale fiducia, aiutandolo anche nel trascrivere le bozze dei suoi libri, sovente di notte, rubando le ore al sonno. Di giorno si recava all’oratorio s. Luigi, dalle parti di Porta Nuova, in una zona piena di immigrati. I più emarginati erano i ragazzi che, dalle valli, scendevano in città in cerca di lavoro come spazzacamini. Rua, facendo catechismo e insegnando le elementari nozioni scolastiche, conobbe infinite storie di miseria. L’oratorio fu frequentato anche da s. Leonardo Murialdo e dal B. Francesco Faà di Bruno. Nel novembre 1856, quando morì Margherita Occhiena, madre di don Bosco, Michele chiamò la sua ad accudire i giovani di Valdocco. Lo fece per venti anni, fino alla morte. Frequentare il seminario, a quei tempi, a causa delle leggi anticlericali, non era facile ma, nonostante questo il giovane lo fece con profitto e anzi, sui suoi appunti, studiarono tanti compagni. Nel febbraio 1858 don Bosco scrisse le Regole della congregazione e il “fidato segretario” passò molte notti a copiare la sua pessima grafia. Insieme, le portarono a Roma, all’approvazione di Papa Pio IX, che, di proprio pugno, le corresse. Michele alla sera dovette ricopiarle mentre di giorno era l’ombra del fondatore, impegnato ad accompagnarlo negli incontri con varie personalità. L’anno successivo il papa ufficializzò la congregazione salesiana.
Il 28 luglio 1860 Michele Rua venne finalmente ordinato sacerdote. Sull’altare della prima messa c’erano i fiori bianchi donati dagli spazzacamini dell’oratorio san Luigi. Tre anni dopo fu mandato ad aprire la prima casa salesiana fuori Torino: un piccolo seminario a Mirabello Monferrato. Vi stette due anni e tornò in città mentre a Valdocco si costruiva la basilica di Maria Ausiliatrice. Don Rua divenne il riferimento di molteplici attività, rispondendo persino alle lettere indirizzate a don Bosco. Lavorava senza soste e nel luglio 1868 sfiorò persino la morte a causa di una peritonite. Dato per moribondo dai medici, guarì, qualcuno disse per intercessione di Don Bosco. Tra i ragazzi dell’oratorio, oltre settecento, nascevano diverse vocazioni religiose. In quell’anno si conclusero i lavori del santuario, nel 1872 si consacrarono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, nel 1875 partirono i primi missionari per l’Argentina guidati da don Cagliero. Nacquero i cooperatori e il bollettino salesiano. Valdocco aveva raggiunto proporzioni enormi, mentre a Roma Papa Leone XIII chiedeva alla congregazione la costruzione della basilica del Sacro Cuore. Don Bosco era spesso in viaggio per la Francia e la Spagna e don Rua gli era accanto. Nel 1884 la salute del fondatore ormai declinava e fu il papa stesso a suggerirgli di pensare ad un successore. Don Rua il 7 novembre fu nominato, dal pontefice, vicario con diritto di successione. Nel gennaio del 1888, nella notte tra il 30 e il 31, alla presenza di molti sacerdoti, accompagnò la mano del santo, nel dare l’ultima benedizione. Rimase poi inginocchiato, davanti alla salma, per oltre due ore.
Il beato Michele fu un missionario instancabile, fedele interprete del sistema educativo preventivo. Percorrendo centinaia di chilometri visitò le case della congregazione sparse per il mondo, coordinandole come una sola grande famiglia. Diceva che i suoi viaggi gli avevano fatto vedere la “povertà ovunque”. La prima grande industrializzazione fece abbandonare ai contadini le proprie terre, per un misero salario guadagnato in fabbrica dopo interminabili giornate di lavoro. I salesiani toglievano dalla strada molti bambini, aprendo oratori e scuole che, pur nella loro semplicità, diventavano in poco tempo centri di accoglienza e istruzione. Fu un grande innovatore in campo educativo: oltre alle scuole, in cui introdusse corsi professionali, organizzò ostelli e circoli sociali. Tra gli altri, fece amicizia con Leone Harmel, promotore del movimento degli operai cattolici. Come responsabile della congregazione affrontava con scrupolo le questioni amministrative che a volte lo portavano ad essere severo con i suoi collaboratori. Spesso gli saranno tornate in mente le parole che don Bosco gli disse quando era ancora un ragazzino: “avrai molto lavoro da fare”. Alla morte del santo i salesiani erano settecento, in sessantaquattro case, presenti in sei nazioni, con don Rua divennero quattromila religiosi, in trecentoquarantuno case di trenta nazioni, tra cui Brasile, Messico, Ecuador, Cina, India, Egitto, Sudafrica. L’amico d’infanzia Cagliero, divenuto cardinale, fu il primo vescovo salesiano missionario in Patagonia e nella Terra del Fuoco, e molti anni dopo gli presentò il giovane figlio di un “cachico”, Zefirino Namuncurà, oggi beato. L’altro compagno, Giovanni Francesia, divenne un latinista di fama europea.
Al beato Rua, tra molte soddisfazioni (nel 1907 don Bosco fu dichiarato venerabile, nel 1908 si terminò la chiesa romana di Maria Liberatrice), non mancarono certo prove e difficoltà. Nel 1896 il governo anticlericale dell’Ecuador allontanò dal paese i salesiani, lo stesso accadde in Francia nel 1902. Nel 1907 in Liguria, a Varazze, si dovette rispondere per vie legali ad alcune pesanti accuse contro la congregazione. Il piano massonico si sgonfiò e i calunniatori dovettero scappare all’estero. La salute del beato ne rimase seriamente compromessa. Sotto il peso degli anni, fu costretto a letto. Il suo aiutante, b. Filippo Rinaldi, lo assistette fino all’ultimo. Morì nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1910, mormorando una giaculatoria insegnatagli da don Bosco quando era un ragazzino: “Cara Madre, Vegine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia”. Il “secondo padre della famiglia salesiana” fu sepolto a fianco del maestro. Paolo VI lo beatificò il 29 ottobre 1972, la sua tomba è ora venerata nella cripta della basilica di Maria Ausiliatrice.
La data di culto per la Chiesa Universale è il 6 aprile, mentre la Famiglia Salesiana lo ricorda il 29 ottobre, giorno della sua beatificazione.
Autore: Daniele Bolognini
mercoledì 28 ottobre 2015
martedì 27 ottobre 2015
“Don
Guidazio”
piazza
San Francesco di Paola n. 7
95036
RANDAZZO (CT).
Randazzo
li 16 ottobre 2015
Oggetto:
convocazione consiglio oratorio.
Si
invitano i componente del Consiglio dell'Oratorio (ex-allievi/e, gruppo Mamma Margherita, PGS, gruppo
genitori, animatori e animatrici) a partecipare alla riunione che si
terrà venerdì trenta ottobre alle ore 17,00 presso
l'Oratorio Salesiano, seguirà la Santa Messa presso la chiesa
del Collegio.
L'Incaricato
dell'Oratorio Il Presidente Ex- allievi
Il Presidente PGS
(Don
Biagio Tringale s.d.b.) (Rizzo Annunziato) (Paolo Parlavecchio)
lunedì 26 ottobre 2015
Ecce somniator venit (Genesi 37.19).
Quando Thomas Carlyle, il celebre
critico-storico inglese scrisse: “Noi siamo delle stoffe di cui son fatti i
sogni”, io credo che non desse altro
significato a questa parola se non l’ordinaria alterazione della fantasia, che
si pasce di speranza e di illusione, ed in questo senso quanti e quanti sognatori!:
sogni della gioventù, sogni di artisti, sogni di giocatori al lotto, sogni di
megalomani.
E questi sogni furono e sono la
maggior parte delle volte irrealizzabili, pericolosi, pazzi. Ma per i
Santi e per Don Bosco, in modo
specifico, la parola sogno ha un valore particolare e di eccezionale
importanza: Nei sogni egli vide tracciata meravigliosamente la sua vita,
l’opera sua lui vivo e dopo morte.
Il grandioso movimento salesiano
che dilaga per il mondo con la maestà di un fiume di portata colossale, ha le sue prime sorgenti nel regno fantastico
dei sogni che hanno la dignità di vere e proprie profezie, di veri comandi
divini come quelli del figlio di Giacobbe, Giuseppe, che nella terra di Canaan
un giorno raccolse i suoi fratelli e disse: “Ho fatto un sogno. Mi sembrava che legassimo i covoni di grano
nel campo ed il mio si alzava e stava dritto, mentre i vostri si curvavano e
adoravano il mio”. Ire dei fratelli: “sarai nostro re e noi saremo soggetti
alla tua potestà?”. Non per questo
tacque Giuseppe e con l’ingenua semplicità dei suoi 17 anni disse: ” Ho fatto
un altro sogno. Ho veduto il sole, la luna e undici stelle ad adorarmi”.
Questa volta c’era anche il padre ad ascoltarlo
e proprio lui si scagliò contro a sgridarlo:
“che vuol dire questo sogno ? Forse io, tua madre
e i tuoi fratelli dovremo adorare te?”.
Il figlio non poteva rispondere e
allargava le braccia come per dire: Che centro io? Da qui ruggine, fiele amaro da parte dei
fratelli, mentre il padre meditava la cosa in silenzio. Passò del tempo ma un
giorno il padre lo chiamò e gli disse: “I tuoi fratelli sono a Sichem a
pascolare il gregge . Valli a trovare e riferiscimi cosa fanno, se hanno cura del gregge e si comportano
bene”. Spedito dalla valle di Ebron
arrivò a Sichem. Ma i fratelli non c’erano, un contadino gli riferì che erano
andati a Dotan. Ma ecco i fratelli di ritorno. Appena s’accorsero che era
Giuseppe e veniva loro incontro esclamarono: “Ecce somniator venit” . Viene il sognatore e
tramarono il tradimento (la morte – il pozzo in primis e la vendita ai mercanti
poi). Ma egli diventò presto il viceré
dell’Egitto, e il sogno come tutti sapete si avverò.
L’opera di Don Bosco è l’epilogo
di un sogno. O meglio tutta la vita di Don Bosco è un continuo succedersi di sogni strepitosi, che rivelano
meravigliosamente il futuro e il programma
glorioso della sua vasta epopea.
Il primo sogno l’ebbe a l’età di
9 anni ai Becchi. E’ lui che parla: “A quell’età ho fatto un sogno che mi rimase profondamente
impresso nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un
cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di ragazzi che ivi
dimoravano. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. All’udire quelle bestemmie mi son lanciato subito in mezzo a loro
adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un uomo venerando
nobilmente vestito. Egli mi chiamò per
nome e mi ordinò di pormi alla testa di quei ragazzi, aggiungendo questa frase:
“ Non con le percosse ma con la
mansuetudine e con la carità dovrai
guadagnare questi tuoi amici. Mettiti subito a far loro un’istruzione sulla
bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù”. Confuso e spaventato
soggiunsi che io ero un povero e ignorante fanciullo, incapace di parlare di
religione a quei ragazzi. In quel momento quei ragazzi cessando dalle risse,
dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si
raccolsero tutti intorno a Colui che parlava. Chi siete voi – soggiunsi -
che mi comandate cosa impossibile?
Rispose: “Appunto perché tali
cose ti sembrano impossibili devi renderli possibili coll’obbedienza e con
l’acquisto della scienza”.
- Dove, con quali mezzi potrò
acquistare la scienza?
- Io ti darò la Maestra, sotto la
cui disciplina potrai diventare sapiente
e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza.
- Ma chi siete voi che parlate in
tal modo?
- Io sono figlio di Colei che tua
madre ti ha insegnato a salutare tre volte al giorno.
- Mia madre mi dice di non
accompagnarmi con coloro che non conosco, perciò ditemi il vostro nome.
- Il mio nome domandolo a mia
madre.
In quel momento vidi accanto a
Lui una Donna di maestoso aspetto, vestita di un mando che risplendeva da tutte
le parti come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi
confuso mi fece segno di
avvicinarmi a lei che mi prese con bontà
per la mano e: “Guarda!”, mi disse. I Ragazzi non c’erano più. Al loro posto vidi una moltitudine di
capretti, di cani, di gatti, di orsi e di parecchi altri animali. Ecco il tuo campo dove devi lavorare. Renditi umile, forte e robusto e ciò che in questo momento vedi succedere di
questi animali tu dovrai
farlo per i figli miei.
Volsi allora lo sguardo, ed ecco
invece di animali feroci apparvero tanti mansueti agnelli che saltavano e
belavano come per la festa e accorrevano attorno a quell’Uomo e a quella
Signora.
A quel punto, sempre nel sonno,
mi misi a piangere e pregai quella Donna a voler parlare in modo da farmi
capire.
Ella mi pose allora la mano sul
capo dicendomi: A suo tempo tutto
comprenderai. Ciò detto un rumore mi svegliò e ogni cosa disparve”.
Giovannino rimase sbalordito , né
poté più chiudere occhio. Al mattino con
premura raccontò il sogno ai fratelli
che (imitando in questo i fratelli di Giuseppe figlio di Giacobbe) si
misero a ridere: il fratello Giuseppe
diceva: tu diventerai guardiano di capre, di pecore e di altri animali. No,
diceva il fratellastro Antonio – forse farai il capo dei briganti!-.
Ma la madre, Margherita
Occhiena, una santa donna che vedeva nel
figlio l’oggetto più caro della sua speranza, disse: Chissà che non abbia a
diventare prete! E prete fu, attuando meravigliosamente tutto il programma
del sogno anticipatore. Come Giuseppe , diventato per disposizione divina il
viceré di Egitto, tutte le folle di affamati ricorrevano a lui, così a Giovanni
Bosco accorsero folle di bisognosi .
Anche noi siamo assillati da
tanti bisogni non meno di quelli cui
erano assillati i popoli confinanti con l’Egitto e in specie i figli di Giacobbe. Rivolgiamoci
fiduciosi a San Giovanni Bosco, che moltiplicò il pane ai suoi giovani e quella
moltiplicazione determinò molti ragazzi a non lasciare più l’oratorio e a farsi
salesiani.
La vita di Don Bosco fu piena di
amarezze e contrarietà da parte di
molti, anche dagli stessi suoi amici. Basta ricordare tutte le peripezie
del suo oratorio, le continue
peregrinazioni dalla chiesa di San Francesco D’Assisi fino ad arrivare a casa Pinardi, dove nascerà
il primo oratorio stabile.
Don Bosco uomo di Dio, apostolo
instancabile, non sognò altro che
salvare anime, soprattutto anime giovanili.
“La gioventù, scrisse il
Cardinale Cagliero, era la sua missione, il suo amore, la sua vita e l’unico
desiderio era che questa gioventù amasse Dio e fosse da Dio amata, conservasse
la freschezza dell’età e la purezza del cuore”.
Non si possono raccontare tutti i
sogni di Don Bosco perché moltissimi, ma ad uno in particolare occorre ancora
fare riferimento. Correva l’anno 1878 e Don Bosco verso la metà del mese di
Agosto fece un sogno. Gli sembrò di essere in un campo vastissimo dove facevano
ricreazione animata i suoi cari giovani. Don Bosco in mezzo a loro,
gioviale, dispensava sorrisi. Ma ecco
che mentre girava per i diversi gruppi del vasto campo, posò gli occhi su un
gruppo un po’ speciale. Erano ragazzi dal volto bruno, dagli occhi vividi, ma
gli occhi non sorridevano e i volti erano mesti. “Chi siete ?”
domandò, perché non giocate? Siamo
siciliani risposero, Don Bosco ha
pensato a tutti, tranne che a noi. Don
Bosco, che nel sogno vide anche in lontananza
un centro abitato adagiato ai piedi dell’Etna, si
raccolse in sé ma non disse nulla ad alcuno.
Poco tempo dopo arrivarono delle
lettere di Mons. Genuardi, Vescovo di Acireale, che lo pregavano di assumere la
direzione del Collegio San Basilio di Randazzo. Don Bosco riunì i suoi
collaboratori ma li trovò tutti restii, fu allora che Don Bosco parlò con tanto
vigore e forza che finirono per convincersi.
La Sicilia ebbe i primi salesiani
nell’ottobre del 1879 a Randazzo, dopo
qualche anno a Catania e nel 1893 a Messina. Ormai la scintilla aveva generato un
grande fuoco e presto molte altre case sorsero in tanti centri della Sicilia, dando
all’Opera Salesiana una miriade di sante vocazioni .
Deceduta Carlotta Guareschi la figlia di Giovannino.
Pochi istanti dopo s'udì partire a motore imballato la giardinetta della
ragazza e don Camillo uscì dal confessionale e andò a sfogare col
Cristo dell'altar maggiore la tristezza del suo animo:
"Signore, se questi giovani che si prendono gioco delle cose più sacre sono la nuova generazione, che mai sarà della Vostra Chiesa?"
"Don Camillo" rispose con voce pacata il Cristo "non ti lasciare suggestionare dal cinema e dai giornali. Non è vero che Dio ha bisogno degli uomini: sono gli uomini che hanno bisogno di Dio. La luce esiste anche in un mondo di ciechi. È stato detto 'hanno gli occhi e non vedono'; la luce non si spegne se gli occhi non la vedono."
"Signore: perché quella ragazza si comporta così? Perché per ottenere una cosa che potrebbe facilmente avere soltanto se chiedesse, deve estorcerla, carpirla, rubarla, rapinarla?"
"Perché, come tanti giovani, è dominata dalla paura d'essere giudicata una ragazza onesta. È la nuova ipocrisia: un tempo i disonesti tentavano disperatamente d'essere considerati onesti. Oggi gli onesti tentano disperatamente d'essere considerati disonesti."
Don Camillo spalancò le braccia:
"Signore, cos'è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?"
"Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?"
"No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l'autodistruzione di cui parlavo. L'uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L'unica vera ricchezza che, in migliaia di secoli, aveva accumulato. Un giorno non lontano si ritroverà esattamente come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell'uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore: la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all'uomo la sua ricchezza. Perché distruggeranno tutto e l'uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se questo è ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?"
Il Cristo sorrise.
"Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d'ogni razza, d'ogni estrazione, d'ogni cultura."
"Signore, se questi giovani che si prendono gioco delle cose più sacre sono la nuova generazione, che mai sarà della Vostra Chiesa?"
"Don Camillo" rispose con voce pacata il Cristo "non ti lasciare suggestionare dal cinema e dai giornali. Non è vero che Dio ha bisogno degli uomini: sono gli uomini che hanno bisogno di Dio. La luce esiste anche in un mondo di ciechi. È stato detto 'hanno gli occhi e non vedono'; la luce non si spegne se gli occhi non la vedono."
"Signore: perché quella ragazza si comporta così? Perché per ottenere una cosa che potrebbe facilmente avere soltanto se chiedesse, deve estorcerla, carpirla, rubarla, rapinarla?"
"Perché, come tanti giovani, è dominata dalla paura d'essere giudicata una ragazza onesta. È la nuova ipocrisia: un tempo i disonesti tentavano disperatamente d'essere considerati onesti. Oggi gli onesti tentano disperatamente d'essere considerati disonesti."
Don Camillo spalancò le braccia:
"Signore, cos'è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?"
"Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?"
"No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l'autodistruzione di cui parlavo. L'uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L'unica vera ricchezza che, in migliaia di secoli, aveva accumulato. Un giorno non lontano si ritroverà esattamente come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell'uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore: la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all'uomo la sua ricchezza. Perché distruggeranno tutto e l'uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se questo è ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?"
Il Cristo sorrise.
"Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d'ogni razza, d'ogni estrazione, d'ogni cultura."
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