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giovedì 29 ottobre 2015

Il beato Michele Rua è il primo successore di Don Bosco, di cui era stato a lungo segretario e poi vicario. Nato a Torino nel 1837, dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico diviene segretario del futuro santo per lIl beato Michele Rua è il primo successore di Don Bosco, di cui era stato a lungo segretario
e poi vicario. Nato a Torino nel 1837,
te, insigne propagatore della Società Salesiana.
Michele Rua nacque a Torino il 9 giugno 1837, nel popolare quartiere di Borgo Dora dove, nell’arsenale, il padre lavorava e in un alloggio della fabbrica abitava la famiglia. Nel giro di pochi anni la madre rimase sola con due figli. Perso il papà, gli occhi di Michelino spesso si fermavano a guardare gli operai a lavoro davanti ai forni roventi in cui venivano fusi i pezzi d’artiglieria. Era una sorta di caserma in cui il ragazzo frequentò le prime due classi d’istruzione. Seguì la terza elementare dai Fratelli delle Scuole Cristiane, chiamati nel borgo, anni prima, dal Marchese Tancredi di Barolo per istruire i bambini del popolo. Tra i banchi di scuola ci fu l’incontro con don Bosco che intuì, negli occhi del giovane, qualcosa di speciale. Porgendogli la mano, come era solito fare con tanti ragazzi, gli disse “Noi due faremo tutto a metà”. Quelle parole rimasero impresse nel cuore di Michele che da quel giorno lo prese come confessore. La terza era l’ultima classe obbligatoria e quando il “santo dei giovani” gli chiese cosa avrebbe fatto l’anno successivo, lui rispose che, essendo orfano, in fabbrica avevano promesso alla madre che gli avrebbero dato un lavoro. Per il sacerdote, anch’egli rimasto presto senza padre, convincere la donna a fargli proseguire gli studi non fu difficile e Michele entrò come convittore a Valdocco, già “popolato” da oltre cinquecento ragazzi. Era il 1853, un anno speciale perché si celebrava il 4° centenario del Miracolo Eucaristico. Don Bosco aveva scritto per l’occasione un libretto e un giorno, mentre camminavano insieme per le strade di Torino, scherzando, predisse al giovane che, cinquanta anni dopo, l’avrebbe fatto ristampare. Intanto nacque nel suo cuore la vocazione sacerdotale e il 3 ottobre ricevette dal santo l'abito clericale ai Becchi di Castelnuovo. L’anno successivo morì anche l’ultimo fratello.
Il 26 gennaio 1854, don Bosco radunò nella sua camera quattro giovani compagni, dando vita, forse inconsapevolmente, alla congregazione salesiana. Alla riunione erano presenti Giovanni Cagliero e Michele Rua che fu incaricato di stenderne il “verbale”. Amici inseparabili, furono tra i più volenterosi quando, l’anno dopo, scoppiò in città un’epidemia di colera, probabilmente portata dai reduci della guerra in Crimea. Nei quartieri più poveri i due aiutarono generosamente i malati e Cagliero si ammalò gravemente. Il 25 marzo, nella stanza di don Bosco, Michele fece la sua “professione” semplice: era il primo salesiano. A Valdocco sorgevano laboratori di calzoleria, di sartoria, di legatoria. Molti ragazzi vedevano cambiare la propria esistenza: alcuni poterono studiare, altri vi si radunavano la sera dopo il lavoro, altri ancora solo la domenica. Michele divenne il principale collaboratore del santo, nonostante la giovane età. Ne conquistò la totale fiducia, aiutandolo anche nel trascrivere le bozze dei suoi libri, sovente di notte, rubando le ore al sonno. Di giorno si recava all’oratorio s. Luigi, dalle parti di Porta Nuova, in una zona piena di immigrati. I più emarginati erano i ragazzi che, dalle valli, scendevano in città in cerca di lavoro come spazzacamini. Rua, facendo catechismo e insegnando le elementari nozioni scolastiche, conobbe infinite storie di miseria. L’oratorio fu frequentato anche da s. Leonardo Murialdo e dal B. Francesco Faà di Bruno. Nel novembre 1856, quando morì Margherita Occhiena, madre di don Bosco, Michele chiamò la sua ad accudire i giovani di Valdocco. Lo fece per venti anni, fino alla morte. Frequentare il seminario, a quei tempi, a causa delle leggi anticlericali, non era facile ma, nonostante questo il giovane lo fece con profitto e anzi, sui suoi appunti, studiarono tanti compagni. Nel febbraio 1858 don Bosco scrisse le Regole della congregazione e il “fidato segretario” passò molte notti a copiare la sua pessima grafia. Insieme, le portarono a Roma, all’approvazione di Papa Pio IX, che, di proprio pugno, le corresse. Michele alla sera dovette ricopiarle mentre di giorno era l’ombra del fondatore, impegnato ad accompagnarlo negli incontri con varie personalità. L’anno successivo il papa ufficializzò la congregazione salesiana.
Il 28 luglio 1860 Michele Rua venne finalmente ordinato sacerdote. Sull’altare della prima messa c’erano i fiori bianchi donati dagli spazzacamini dell’oratorio san Luigi. Tre anni dopo fu mandato ad aprire la prima casa salesiana fuori Torino: un piccolo seminario a Mirabello Monferrato. Vi stette due anni e tornò in città mentre a Valdocco si costruiva la basilica di Maria Ausiliatrice. Don Rua divenne il riferimento di molteplici attività, rispondendo persino alle lettere indirizzate a don Bosco. Lavorava senza soste e nel luglio 1868 sfiorò persino la morte a causa di una peritonite. Dato per moribondo dai medici, guarì, qualcuno disse per intercessione di Don Bosco. Tra i ragazzi dell’oratorio, oltre settecento, nascevano diverse vocazioni religiose. In quell’anno si conclusero i lavori del santuario, nel 1872 si consacrarono le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, nel 1875 partirono i primi missionari per l’Argentina guidati da don Cagliero. Nacquero i cooperatori e il bollettino salesiano. Valdocco aveva raggiunto proporzioni enormi, mentre a Roma Papa Leone XIII chiedeva alla congregazione la costruzione della basilica del Sacro Cuore. Don Bosco era spesso in viaggio per la Francia e la Spagna e don Rua gli era accanto. Nel 1884 la salute del fondatore ormai declinava e fu il papa stesso a suggerirgli di pensare ad un successore. Don Rua il 7 novembre fu nominato, dal pontefice, vicario con diritto di successione. Nel gennaio del 1888, nella notte tra il 30 e il 31, alla presenza di molti sacerdoti, accompagnò la mano del santo, nel dare l’ultima benedizione. Rimase poi inginocchiato, davanti alla salma, per oltre due ore.
Il beato Michele fu un missionario instancabile, fedele interprete del sistema educativo preventivo. Percorrendo centinaia di chilometri visitò le case della congregazione sparse per il mondo, coordinandole come una sola grande famiglia. Diceva che i suoi viaggi gli avevano fatto vedere la “povertà ovunque”. La prima grande industrializzazione fece abbandonare ai contadini le proprie terre, per un misero salario guadagnato in fabbrica dopo interminabili giornate di lavoro. I salesiani toglievano dalla strada molti bambini, aprendo oratori e scuole che, pur nella loro semplicità, diventavano in poco tempo centri di accoglienza e istruzione. Fu un grande innovatore in campo educativo: oltre alle scuole, in cui introdusse corsi professionali, organizzò ostelli e circoli sociali. Tra gli altri, fece amicizia con Leone Harmel, promotore del movimento degli operai cattolici. Come responsabile della congregazione affrontava con scrupolo le questioni amministrative che a volte lo portavano ad essere severo con i suoi collaboratori. Spesso gli saranno tornate in mente le parole che don Bosco gli disse quando era ancora un ragazzino: “avrai molto lavoro da fare”. Alla morte del santo i salesiani erano settecento, in sessantaquattro case, presenti in sei nazioni, con don Rua divennero quattromila religiosi, in trecentoquarantuno case di trenta nazioni, tra cui Brasile, Messico, Ecuador, Cina, India, Egitto, Sudafrica. L’amico d’infanzia Cagliero, divenuto cardinale, fu il primo vescovo salesiano missionario in Patagonia e nella Terra del Fuoco, e molti anni dopo gli presentò il giovane figlio di un “cachico”, Zefirino Namuncurà, oggi beato. L’altro compagno, Giovanni Francesia, divenne un latinista di fama europea.
Al beato Rua, tra molte soddisfazioni (nel 1907 don Bosco fu dichiarato venerabile, nel 1908 si terminò la chiesa romana di Maria Liberatrice), non mancarono certo prove e difficoltà. Nel 1896 il governo anticlericale dell’Ecuador allontanò dal paese i salesiani, lo stesso accadde in Francia nel 1902. Nel 1907 in Liguria, a Varazze, si dovette rispondere per vie legali ad alcune pesanti accuse contro la congregazione. Il piano massonico si sgonfiò e i calunniatori dovettero scappare all’estero. La salute del beato ne rimase seriamente compromessa. Sotto il peso degli anni, fu costretto a letto. Il suo aiutante, b. Filippo Rinaldi, lo assistette fino all’ultimo. Morì nella notte tra il 5 e il 6 aprile 1910, mormorando una giaculatoria insegnatagli da don Bosco quando era un ragazzino: “Cara Madre, Vegine Maria, fate ch’io salvi l’anima mia”. Il “secondo padre della famiglia salesiana” fu sepolto a fianco del maestro. Paolo VI lo beatificò il 29 ottobre 1972, la sua tomba è ora venerata nella cripta della basilica di Maria Ausiliatrice.
La data di culto per la Chiesa Universale è il 6 aprile, mentre la Famiglia Salesiana lo ricorda il 29 ottobre, giorno della sua beatificazione.

                                                                                                     Autore:
Daniele Bolognini
dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico diviene segretario del futuro santo per la zona di Valdocco. Accompagna il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e direttore spirituale. A 26 anniIl beato Michele Rua è il primo successore di Don Bosco, di cui era stato a lungo segretario e poi vicario. Nato a Torino nel 1837, dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico diviene segretario del futuro santo per la zona di Valdocco. Accompagna il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e direttore spirituale. A 26 anni fonda il primo centro salesiano "esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida della congregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire) fonda il primo centro salesiano "esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida della coIl beato Michele Rua è il primo successore di Don Bosco, di cui era stato a lungo segretario e poi vicario. Nato a Torino nel 1837, dopo la morte del padre entra tra i salesiani. Già da chierico diviene segretario del futuro santo per la zona di Valdocco. Accompagna il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e direttore spirituale. A 26 anni fonda il primo centro salesiano "esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida della congregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire)ngregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire)a zona di Valdocco. Accompagna il fondatore in numerosi viaggi. Si adopera, inoltre, come catechista e direttore spirituale. A 26 anni fonda il primo centro salesiano "esterno" a Mirabello Monferrato. Vicario nel 1884, assume la guida della congregazione dopo la morte di Don Bosco (1888) e le dà un grande impulso. Muore nel 1910 ed è beato dal 1972. (Avvenire)

IMMAGINI DAL SAN BASILIO.





martedì 27 ottobre 2015



Don Guidazio”
piazza San Francesco di Paola n. 7
95036 RANDAZZO (CT).




Randazzo li 16 ottobre 2015
Oggetto: convocazione consiglio oratorio.
Si invitano i componente del Consiglio dell'Oratorio (ex-allievi/e, gruppo Mamma Margherita, PGS, gruppo genitori, animatori e animatrici) a partecipare alla riunione che si terrà venerdì trenta ottobre alle ore 17,00 presso l'Oratorio Salesiano, seguirà la Santa Messa presso la chiesa del Collegio.
L'Incaricato dell'Oratorio            Il Presidente Ex- allievi                                      Il Presidente PGS
(Don Biagio Tringale s.d.b.)          (Rizzo Annunziato)                              (Paolo Parlavecchio)


IMMAGINI DAL SAN BASILIO.



"CHI DONA AI POVERI PRESTA A DIO" (Don Bosco).



lunedì 26 ottobre 2015

Ecce somniator venit (Genesi 37.19).




Quando Thomas Carlyle, il celebre critico-storico inglese scrisse: “Noi siamo delle stoffe di cui son fatti i sogni”,  io credo che non desse altro significato a questa parola se non l’ordinaria alterazione della fantasia, che si pasce di speranza e di illusione, ed in questo senso quanti e quanti sognatori!: sogni della gioventù, sogni di artisti, sogni di giocatori al lotto, sogni di megalomani.
E questi sogni furono e sono la maggior parte delle volte irrealizzabili, pericolosi, pazzi. Ma per i Santi  e per Don Bosco, in modo specifico, la parola sogno ha un valore particolare e di eccezionale importanza: Nei sogni egli vide tracciata meravigliosamente la sua vita, l’opera sua lui vivo e dopo morte.
Il grandioso movimento salesiano che dilaga per il mondo con la maestà di un fiume di portata colossale,  ha le sue prime sorgenti nel regno fantastico dei sogni che hanno la dignità di vere e proprie profezie, di veri comandi divini come quelli del figlio di Giacobbe, Giuseppe, che nella terra di Canaan un giorno raccolse i suoi fratelli e disse:  “Ho fatto un sogno.  Mi sembrava che legassimo i covoni di grano nel campo ed il mio si alzava e stava dritto, mentre i vostri si curvavano e adoravano il mio”. Ire dei fratelli: “sarai nostro re e noi saremo soggetti alla tua potestà?”.  Non per questo tacque Giuseppe e con l’ingenua semplicità dei suoi 17 anni disse: ” Ho fatto un altro sogno.  Ho veduto  il sole, la luna e undici stelle ad adorarmi”. Questa volta c’era anche il padre ad ascoltarlo  e   proprio lui si scagliò contro a sgridarlo: “che vuol dire questo sogno ?  Forse io,  tua madre  e i tuoi fratelli dovremo adorare te?”.
Il figlio non poteva rispondere e allargava le braccia  come per dire:  Che centro io?  Da qui ruggine, fiele amaro da parte dei fratelli, mentre il padre meditava la cosa in silenzio. Passò del tempo ma un giorno il padre lo chiamò e gli disse: “I tuoi fratelli sono a Sichem a pascolare il gregge . Valli a trovare e riferiscimi cosa fanno,  se hanno cura del gregge e si comportano bene”.  Spedito dalla valle di Ebron arrivò a Sichem. Ma i fratelli non c’erano, un contadino gli riferì che erano andati a Dotan. Ma ecco i fratelli di ritorno. Appena s’accorsero che era Giuseppe e veniva loro incontro esclamarono:  “Ecce somniator venit” . Viene il sognatore e tramarono il tradimento (la morte – il pozzo in primis e la vendita ai mercanti poi). Ma egli diventò presto  il viceré dell’Egitto, e il sogno come tutti sapete si avverò.
L’opera di Don Bosco è l’epilogo di un sogno. O meglio tutta la vita di Don Bosco è un continuo succedersi  di sogni strepitosi, che rivelano meravigliosamente il futuro e il programma  glorioso della sua vasta epopea.
Il primo sogno l’ebbe a l’età di 9 anni ai Becchi. E’ lui che parla: “A quell’età  ho fatto un sogno che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta la vita. Nel sonno  mi parve di essere vicino a casa in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di ragazzi che ivi dimoravano.  Alcuni  ridevano, altri giocavano,  non pochi bestemmiavano.  All’udire quelle bestemmie  mi son lanciato subito in mezzo a loro adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel momento apparve un uomo venerando nobilmente vestito. Egli mi chiamò  per nome e mi ordinò di pormi alla testa di quei ragazzi, aggiungendo questa frase: “ Non con le percosse  ma con la mansuetudine  e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti subito a far loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù”. Confuso e spaventato soggiunsi che io ero un povero e ignorante fanciullo, incapace di parlare di religione a quei ragazzi. In quel momento quei ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie,  si raccolsero tutti intorno a Colui che parlava.  Chi siete voi  – soggiunsi -  che mi comandate cosa impossibile?  Rispose:  “Appunto perché tali cose ti sembrano impossibili devi renderli possibili coll’obbedienza e con l’acquisto della scienza”.
- Dove, con quali mezzi potrò acquistare la scienza? 
- Io ti darò la Maestra, sotto la cui disciplina  potrai diventare sapiente e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza.
- Ma chi siete voi che parlate in tal modo?
- Io sono figlio di Colei che tua madre ti ha insegnato a salutare tre volte al giorno.
- Mia madre mi dice di non accompagnarmi con coloro che non conosco, perciò ditemi il vostro nome.
- Il mio nome domandolo a mia madre.
In quel momento vidi accanto a Lui una Donna di maestoso aspetto, vestita di un mando che risplendeva da tutte le parti come se ogni punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi confuso  mi fece segno di avvicinarmi  a lei che mi prese con bontà per la mano e: “Guarda!”, mi disse. I Ragazzi non c’erano più.  Al loro posto vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, di orsi e di parecchi altri animali.  Ecco il tuo campo dove devi lavorare.  Renditi umile, forte e robusto  e ciò che in questo momento vedi succedere di questi  animali  tu dovrai  farlo per i figli miei.
Volsi allora lo sguardo, ed ecco invece di animali feroci apparvero tanti mansueti agnelli che saltavano e belavano come per la festa e accorrevano attorno a quell’Uomo e a quella Signora.
A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere e pregai quella Donna a voler parlare in modo da farmi capire.
Ella mi pose allora la mano sul capo dicendomi:  A suo tempo tutto comprenderai. Ciò detto un rumore mi svegliò e ogni cosa disparve”.
Giovannino rimase sbalordito , né poté più chiudere occhio. Al  mattino con premura raccontò il sogno ai fratelli  che (imitando in questo i fratelli di Giuseppe figlio di Giacobbe)   si misero  a ridere: il fratello Giuseppe diceva: tu diventerai guardiano di capre, di pecore e di altri animali. No, diceva il fratellastro Antonio – forse farai il capo dei briganti!-.
Ma la madre, Margherita Occhiena,  una santa donna che vedeva nel figlio l’oggetto più caro della sua speranza, disse: Chissà che non abbia a diventare prete!  E prete fu,  attuando meravigliosamente tutto il programma del sogno anticipatore. Come Giuseppe , diventato per disposizione divina il viceré di Egitto, tutte le folle di affamati ricorrevano a lui, così a Giovanni Bosco accorsero folle di bisognosi .
Anche noi siamo assillati da tanti bisogni  non meno di quelli cui erano assillati i popoli confinanti con l’Egitto  e in specie i figli di Giacobbe. Rivolgiamoci fiduciosi a San Giovanni Bosco, che moltiplicò il pane ai suoi giovani e quella moltiplicazione determinò molti ragazzi  a non lasciare più l’oratorio e a farsi salesiani.
La vita di Don Bosco fu piena di amarezze e contrarietà  da parte di molti, anche dagli stessi suoi amici. Basta ricordare tutte le peripezie del  suo oratorio, le continue peregrinazioni dalla chiesa di San Francesco D’Assisi  fino ad arrivare a casa Pinardi, dove nascerà il primo oratorio stabile.
Don Bosco uomo di Dio, apostolo instancabile,  non sognò altro che salvare anime, soprattutto anime giovanili.
“La gioventù, scrisse il Cardinale Cagliero, era la sua missione, il suo amore, la sua vita e l’unico desiderio era che questa gioventù amasse Dio e fosse da Dio amata, conservasse la freschezza dell’età e la purezza del cuore”.
Non si possono raccontare tutti i sogni di Don Bosco perché moltissimi, ma ad uno in particolare occorre ancora fare riferimento. Correva l’anno 1878 e Don Bosco verso la metà del mese di Agosto fece un sogno. Gli sembrò di essere in un campo vastissimo dove facevano ricreazione animata i suoi cari giovani. Don Bosco in mezzo a loro, gioviale,  dispensava sorrisi. Ma ecco che mentre girava per i diversi gruppi del vasto campo, posò gli occhi su un gruppo un po’ speciale. Erano ragazzi dal volto bruno, dagli occhi vividi, ma gli occhi non sorridevano  e  i volti erano mesti.  “Chi siete ?”  domandò,  perché non giocate? Siamo siciliani risposero,  Don Bosco ha pensato  a tutti, tranne che a noi. Don Bosco, che nel sogno vide anche in lontananza  un centro abitato adagiato ai piedi dell’Etna,   si raccolse in sé ma non disse nulla ad alcuno.
Poco tempo dopo arrivarono delle lettere di Mons. Genuardi, Vescovo di Acireale, che lo pregavano di assumere la direzione del Collegio San Basilio di Randazzo. Don Bosco riunì i suoi collaboratori ma li trovò tutti restii, fu allora che Don Bosco parlò con tanto vigore e forza  che finirono per convincersi.
La Sicilia ebbe i primi salesiani nell’ottobre del  1879 a Randazzo, dopo qualche anno  a Catania e nel  1893 a  Messina. Ormai la scintilla aveva generato un grande fuoco e presto molte altre case sorsero in tanti centri della Sicilia, dando all’Opera  Salesiana  una miriade di sante vocazioni .

Deceduta Carlotta Guareschi la figlia di Giovannino.


Pochi istanti dopo s'udì partire a motore imballato la giardinetta della ragazza e don Camillo uscì dal confessionale e andò a sfogare col Cristo dell'altar maggiore la tristezza del suo animo:
"Signore, se questi giovani che si prendono gioco delle cose più sacre sono la nuova generazione, che mai sarà della Vostra Chiesa?"
"Don Camillo" rispose con voce pacata il Cristo "non ti lasciare suggestionare dal cinema e dai giornali. Non è vero che Dio ha bisogno degli uomini: sono gli uomini che hanno bisogno di Dio. La luce esiste anche in un mondo di ciechi. È stato detto 'hanno gli occhi e non vedono'; la luce non si spegne se gli occhi non la vedono."
"Signore: perché quella ragazza si comporta così? Perché per ottenere una cosa che potrebbe facilmente avere soltanto se chiedesse, deve estorcerla, carpirla, rubarla, rapinarla?"
"Perché, come tanti giovani, è dominata dalla paura d'essere giudicata una ragazza onesta. È la nuova ipocrisia: un tempo i disonesti tentavano disperatamente d'essere considerati onesti. Oggi gli onesti tentano disperatamente d'essere considerati disonesti."
Don Camillo spalancò le braccia:
"Signore, cos'è questo vento di pazzia? Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?"
"Don Camillo, perché tanto pessimismo? Allora il mio sacrificio sarebbe stato inutile? La mia missione fra gli uomini sarebbe dunque fallita perché la malvagità degli uomini è più forte della bontà di Dio?"
"No, Signore. Io intendevo soltanto dire che oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l'autodistruzione di cui parlavo. L'uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L'unica vera ricchezza che, in migliaia di secoli, aveva accumulato. Un giorno non lontano si ritroverà esattamente come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell'uomo sarà quello del bruto delle caverne. Signore: la gente paventa le armi terrificanti che disintegrano uomini e cose. Ma io credo che soltanto esse potranno ridare all'uomo la sua ricchezza. Perché distruggeranno tutto e l'uomo, liberato dalla schiavitù dei beni terreni cercherà nuovamente Dio. E lo ritroverà e ricostruirà il patrimonio spirituale che oggi sta finendo di distruggere. Signore, se questo è ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?"
Il Cristo sorrise.
"Ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l'asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede a mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più; ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e di nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri. Uomini d'ogni razza, d'ogni estrazione, d'ogni cultura."